Dove poggio le mani, 2023. Ma Project, Perugia, Italy. Text by Mara Predicatori. Photos by Giulio Buchiccio / quadro zero.

 

Totem di terra. Ceramics, glass, wax, stones, jewerly, fabric. 2023.

 

Totem di terra. Ceramics, glass, wax, silver hearrings, stones, jewerly, fabric. 2023.

 

L'incontro delle acque. Watercolours on paper. 200 x 183 cm. 2022.

 

L'incontro delle acque. Installation view.

 

Rezos. Fabric, thread, wood, ceramics, jewelry, shells. 2023.

 

Rezos. Details.

 

Rezos. Details.

 

Dove poggio le mani. Jessica Moroni. Ma Project 16.09.2023 - 01.10.2023

EN VERSION

To Practice the Imaginary

"Dove poggio le mani" is the chosen title by Jessica Moroni to encompass a selection of her works from 2019 to the present. The phrase is a reinterpretation of a passage by St. Francis of Assisi that the artist likes to quote, "our hands absorb like roots, so I place them on what is beautiful in this world." The reference carries at least three elements that strongly characterize Moroni's exploration: 1) inspiration from the natural world; 2) "beauty" as a generative element of other beauty; 3) action as a conscious act to nourish and multiply the good. It is a choice that finds in the Franciscan message an example of a possible harmonious encounter between humans and nature, enacted in daily reality and, for Moroni, in art.

Before being aesthetic, Moroni's exploration is, in fact, operational and methodological: a placing of hands. An existential practice that, in the very exercise of the work, expresses respect for certain cultural aspects rooted in the struggles of the 1960s, with ecological, spiritual, and feminist influences. In the midst of an ecological and social crisis, in a cultural climate no longer defined by "Western" cultural eugenics, Moroni transforms the matured awareness of being part of an ecological network and a precarious sustainability system into a transformative action where art itself becomes an act of care and non-oppressive change. The imaginative practice in her work becomes an enacted act to achieve a possible reconciliation between humans and nature, humans and humans, visible and invisible, starting from actions of care, mending, and defining new balances that glorify the generative and primal forces of the universe. Jessica Moroni works by uniting, assembling, and transforming natural elements, materials of organic origin, and found objects into forms infused with archetypal suggestions: the high and the low (Flores de Plutón, 2021), the sky and the earth (Vainas, 2023), the bridge (Puente, 2019-2023), the feminine and the masculine (Totem di terra, 2023). Even the works she had previously produced are reabsorbed into new installations where the before, the after, and the now are assimilated into the category of transformation that rightfully enters the raw material of the work. From what she perceives as beautiful and potential, her hands draw nourishment to reinvent and build visions that, while starting from the real, detach from it to touch the shores of the dreamed. She shapes objects-beings that resemble small adorned and charming deities (Totem di terra, 2023); from residues of weeds and leftover wood, using papier-mâché as a saturating and connecting element, she produces works that acquire structural and autonomous value (Serie Ombligo, 2019); organic or salvage forms become fetishes and chests rich in propitiatory allusions (Flores de Pluton, 2021); then, she creates dreamy watercolors with hybrid beings or primordial shapes to construct new landscapes (L’origine delle cose o Panspermia, 2022), or natural landscapes where harmonious encounters between species, waters, and colors occur thanks to the chromatic liquidity of watercolor (L’incontro delle acque, 2022).

Despite an apparently simple and naive aesthetic, we could say naïve, the worlds that Jessica Moroni recreates and the visions she suggests, like fables and myths, resonate with a thousand echoes and potential meanings. The meaning that inhabits her creatures remains entangled in a maze of seemingly incongruous forms, objects, colors. Her works become enigmas, close and familiar, attractive and seductively ambiguous like practicable but unknown worlds. We fully grasp them, in their evident constitutive material and iconographic, yet they leave us perplexed by not clearly manifesting the generative principle and the logic that governs them, making them beautiful with an exotic beauty. Every form of learning and attribution of meaning to the world and social rules passes through the childhood game of "pretending" and, in adulthood, through the practice of apprenticeship, that is, of remaking according to example. Thus, if a person sees and practices a different way of casting one's gaze and hands upon the world, then, with "Dove poggio le mani," Jessica Moroni offers the public the opportunity to reread reality as a set of different potential relationships: supportive, non-hierarchical, mutual-help, rediscovering the beautiful essence of the useless, the non-durable, the error of nature as an integral part of a universe where we can subvert hierarchical and capitalist attitudes and embrace a transformative principle. A political example (in the broadest sense of the term) enacted through artistic practice. The apparent primitive naivety of certain choices, therefore, is the stylistic expedient necessary to lead us, from the margins of myth and fable, into the myth and fable itself, to practice a utopia and begin to create it in reality. Because imagining is a bit like becoming what one imagines. A child's game, a practice for adults.

 

IT VERSION

Praticare l'immaginario.

Dove poggio le mani è il titolo scelto da Jessica Moroni per abbracciare una selezione di propri lavori che vanno dal 2019 ad oggi. La frase è la rivisitazione di un passaggio di Francesco d’Assisi che l’artista ama citare “le nostre mani assorbono come radici, quindi le poso su ciò che è bello in questo mondo”. Il riferimento porta con sé almeno tre elementi che connotano fortemente la ricerca di Moroni: 1) l’ispirazione al mondo naturale; 2) il “bello” come elemento generatore di altra bellezza; 3) l’azione come atto consapevole per nutrirsi e moltiplicare il buono. Una scelta di campo quindi che trova nel messaggio francescano l’esempio di un possibile incontro armonico tra uomonatura agito nella realtà quotidiana e, per Moroni, nell’arte.

Prima che estetica la ricerca di Moroni è, infatti, operativa e metodologica: un poggiare le mani. Una pratica esistenziale che esprime, nell’esercizio stesso del lavoro, il rispetto di alcuni portati culturali delle lotte anni ’60 di matrice ecologista, spiritualista, femminista. In piena crisi ecologica e sociale, in una temperie culturale non più connotata dall’eugenetica culturale “occidentale”, Moroni trasforma la maturata consapevolezza di far parte di una rete ecologica e in un sistema di sostenibilità precario, in un’azione trasformativa in cui anche l’arte diventa un atto di cura e di cambiamento non prevaricante. La pratica immaginativa nel suo lavoro diventa pertanto un atto agito per operare una conciliazione possibile tra uomo e natura, uomo e uomo, visibile e invisibile, proprio a partire da azioni di accudimento, ricucitura e definizione di nuovi equilibri che glorificano le forze generatrici e primigenie dell’universo.

Jessica Moroni lavora unendo, assemblando e trasformando elementi naturali, materiali di origine organica e objet trouvè in forme intrise di suggestioni archetipiche: l’alto e il basso (Flores de Plutón, 2021), il cielo e la terra (Vainas, 2023), il ponte (Puente, 2019-2023), il femmineo e il maschile (Totem di terra, 2023). Anche le opere che aveva prodotto precedentemente vengono riassorbite in nuovi allestimenti in cui il prima, il dopo e il poi sono assimilati nella categoria della trasformazione che entra di pieno diritto nella materia prima del lavoro. Da ciò che percepisce come bello e potenziale, le sue mani traggono nutrimento per reinventare ed edificare visioni che, pur partendo dal reale, si disancorano da esso per toccare i lidi del sognato. Dà forma così a oggettiesseri che sembrano piccole divinità agghindate e vezzose (Totem di terra, 2023); a partire da residui di piante infestanti e legni di risulta, grazie all’uso della cartapesta usata come elemento che satura e congiunge, produce opere che acquistano valore strutturale ed autonomo (Serie Ombligo, 2019); forme organiche o di recupero diventano feticci e scrigni ricchi di allusioni propiziatorie (Flores de Pluton, 2021); poi realizza acquarelli trasognati con esseri ibridi o sagome primigenie a costruire nuovi paesaggi (L’origine delle cose o Panspermia, 2022), o paesaggi naturali in cui si realizzano forme di incontro armonico tra specie, acque e colori grazie alla liquidità cromatica dell’acquarello (L’incontro delle acque, 2022).

Pur con una estetica apparentemente semplice ed ingenua, potremmo dire naïf, i mondi che Jessica Moroni ricrea e le visioni che suggerisce, come le favole e i miti, risuonano di mille echi e sensi potenziali. Il significato che abita le sue creature rimane avviluppato in un intrico di forme, oggetti, colori apparentemente incongrui. Le sue opere diventano enigmi vicini e familiari, attraenti e seduttivamente ambigue come mondi praticabili ma ignoti. Le cogliamo totalmente, nella loro palese materia costitutiva e iconografica, eppure esse lasciano interdetti non manifestando chiaramente il principio generativo e la logica che le presiede e le fa belle di una bellezza esotica.

Ogni forma di apprendimento e di attribuzione di senso al mondo e alle regole sociali passa nell’età infantile attraverso il gioco del “far finta di” e nell’adulto attraverso la pratica dell’apprendistato, ovvero del rifare secondo esempio. L’uomo, attraverso l’imitazione di determinati ruoli ed azioni e l’immedesimazione con quanto vede ed esperisce, apprende il sistema di relazioni, emozioni e poteri che allignano nei modelli sociali offertegli.

Dunque, se l’uomo vede e pratica una diversa modalità di apporre lo sguardo e le mani sul mondo, allora, con Dove poggio le mani, Jessica Moroni offre al pubblico la possibilità di rileggere la realtà come un insieme di relazioni potenziali diverse: solidali, non gerarchiche, di mutuo-aiuto riscoprendo l’essenza bella dell’inutile, del non durevole, dell’errore di natura come parte integrante di un universo in cui possiamo sovvertire l’attitudine gerarchica e capitalistica ed accogliere un principio trasformativo. Un esempio politico (nell’accezione più ampia del termine) agito attraverso la pratica artistica.

L’apparente ingenuo primitivismo di certe sue scelte, dunque, è l’espediente stilistico necessario per condurci, dai margini del mito e della favola, dentro il mito e la favola stessa, per praticare un’utopia e iniziare a crearla nella realtà. Perché immaginare è un po' diventare ciò che si immagina. Un gioco da bambini, una pratica da adulti.

 

Mara Predicatori